domenica 3 giugno 2012

the sliding stones





the sliding stones


come una ossessione religiosa
provocò la fine di una civiltà
polinesiana

un approfondimento tra biologia e storia
classi 5H 5D 4G

alunni

Marco Deiosso
Marta Curiat
Matteo Bruno Lodi
Antonio Piga
Matteo Vacca

docenti

Emma Calabresu
Francesca Toxiri
Gigi Monello
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LICEO SCIENTIFICO ALBERTI

a.s. 2011-12
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copie omaggio in sede centrale







martedì 7 giugno 2011

la fortuna di trovarsi orizzontali


 

Liceo Scientifico Statale “Pacinotti” - Cagliari

anno scolastico 2010-2011

classe 3 L

la fortuna di trovarsi orizzontali


un approfondimento sul rapporto tra geografia e storia

Marco Botta
Carlo Sanna
Simone Santus


grafica: Carlo Sanna - 
revisione testi: Gigi Monello 





Orizzontali contro verticali


Cajamarca, 16 novembre 1532. Francisco Pizarro soldato, esploratore e avventuriero, si trova, con la sua banda di 168 spagnoli, faccia a faccia con l’esercito imperiale di Atahualpa, capo degli Incas. È il più sconcertante scontro militare della storia. Gli spagnoli hanno con sé una dozzina di archibugi, armi in acciaio affilatissime, corazze e 62 cavalli. L’attrezzatura militare degli Incas è, invece, rudimentale: bastoni, mazze, asce fatte di pietra, legno o bronzo; fionde ed armature intessute. Ma c’è un piccolo dettaglio a loro vantaggio: sono 80.000. Per quanto stupefacente possa apparire saranno gli Europei a vincere. È da questo evento durato poche ore, che prende le mosse Jared Diamond che con un affascinante e vertiginoso salto di scala spazio/temporale, ci porta dai pochi ettari e dalle poche ore di Cajamarca, alle grandi masse dei continenti e ai 10.000 anni che separano quella battaglia dalla scoperta dell’agricoltura. Secondo Diamond, gli Europei hanno vinto perchè eredi di civiltà vissute per migliaia di anni in un blocco continentale orientato nella direzione ovest-est; gli Indios, perso, perché discendenti da civiltà vissute in un continente disposto in senso nord-sud. All’apparenza il collegamento ha il suono di uno scherzo un po’ folle. E la prima reazione è di scetticismo, “Professore, sarebbe come se lei mi dicesse che siccome mi metto una maglietta rossa, allora quel giorno andrò bene in matematica”, ha detto d’istinto Enrico, dopo avere sentito questa strana storia. Perplessità giustificata. Come può un evento piccolo e, in parte, accidentale, come una battaglia, essere ricondotto a strutture così grandi e processi così lunghi? Proviamo ad illuminare di colpo un solo dettaglio “forte” di questa teoria, quello che più di ogni altro può aiutare a capirne la logica. L’orientamento est-ovest della grande massa continentale euro-asiatica ha fatto sì che tutte le civiltà che si sono sviluppate in questo area, siano vissute in condizioni climatiche sostanzialmente simili (stessa latitudine) ed abbiano con facilità potuto scambiarsi tutto: cose, notizie, animali, piante, tecniche, uomini, aggressività, malattie. La disposizione Nord-Sud di Americhe e Africa, collocando quei popoli dentro quadri climatici troppo diversi ed estremi (diversa latitudine) ha invece impedito, in questi continenti, lo svolgersi della stessa dinamica. Non è il solo fattore della superiorità europea; ma è, per Diamond, tra i due decisivi. Per millenni, impenetrabili barriere geo-climatiche (pianure tropicali, climi troppo freddi, fitte foreste) resero difficili, se non impossibili i passaggi di vegetali ed animali e il “contagio agricolo”. Stessa cosa per la tecnologia: la ruota, inventata in Messico, restò per millenni un mero giocattolo; se avesse “raggiunto” il lama delle Ande avrebbe potuto diventare un formidabile fattore di progresso. Ma questo non avvenne. Per Diamond - che non è affatto turbato dall’accusa di determinismo storico - il destino delle popolazioni di Africa ed America era già segnato molto tempo prima che la specie umana vi comparisse. Se avrete la pazienza di esaminare tutti i passaggi della nostra mappa concettuale vi convincerete della notevole verosimiglianza di questa teoria; ma se dovessero rimanervi dei dubbi, non disperate: la biblioteca del nostro Liceo possiede una copia di questo straordinario libro. Se volete fare un entusiasmante viaggio intellettuale tra storia, geografia e biologia, leggete Jared Diamond.


Jared Mason Diamond insegna fisiologia all’Università della California a Los Angeles ed è membro dell’Accademia nazionale delle Scienze americana. Tra i suoi libri tradotti in italiano, “Il terzo scimpanzé” e “Collasso”. Con “Armi, acciaio, malattie” ha vinto il premio Pulitzer 1998 per la saggistica. Diamond parla una dozzina di lingue, ed i suoi libri spaziano dalla biologia molecolare all'archeologia; i suoi interessi toccano, a volte, materie assai inconsuete come la progettazione delle macchine per scrivere o il Giappone feudale. Per la sua sterminata preparazione ed il gran numero di pubblicazioni, Mark Ridley ha avanzato la scherzosa supposizione che “Jared Diamond non sia una singola persona, ma, in realtà, un comitato”.


Ecco, come lo stesso Diamond illustra alcuni casi specifici della presenza di barriere geografico-climatiche.
Tra gli altipiani del Messico e quelli dell’Ecuador ci sono solo 2000 km, più o meno quanti ne corrono tra i Balcani e la Mesopotamia. Nei Balcani, le cui condizioni climatiche non erano dissimili da quelle del Vicino Oriente, l’agricoltura arrivò in 2000 anni. Anche il Messico e le Ande avrebbero potuto ospitare, in gran parte, le stesse specie domestiche, ma questo non avvenne se non per un caso specifico: il mais. Per altre piante e animali, l’uscita dal loro territorio di origine fu impossibile. Le fresche alture messicane sraebbero state ideali per allevare lama e cavie, o per coltivare le patate, tutte specie domesticate sulle Ande. Ma il loro cammino verso nord era bloccato dalle pianure tropicali dell’America centrale. Per 5000 anni gli Olmechi, i Maya, gli Aztechi e tutti gli altri popoli mesoamericani rimasero privi di mammiferi di grossa taglia (come il lama) e furono lasciati con il solo cane come animale da carne. (…) Il mais, i fagioli e le zucche messicane impiegarono migliaia di anni per percorrere i 1100 km che li separavano dagli Stati uniti sudoccidentali, mentre il pepe e il chenopodio non riuscirono neppure ad arrivare. Il mais non riuscì per millenni a diffondersi a nord a causa del clima più freddo e della stagione di crescita più breve. (…) (Diamond, op.cit., p. 144)
la ruota fu inventata in mesoamerica e il lama fu domesticato sulle Ande, ma in 5000 anni l’unico animale da traino e l’unica tecnologia utile per i carri del continente non riuscirono ad incontrarsi - anche se la distanza in linea d’aria tra le due società in questione (2000 km) era assai minore di quella tra Francia e Cina (13000 km), due luoghi che condividevano ruote e cavalli.
(Diamond, op. cit., p. 207-08)



















Lo scontro di Cajamarca

Quali sono i fattori che hanno contribuito alla vittoria del continente Eurasiatico su tutte le altre zone del mondo? L’esempio dell’ America è il più chiaro. Dopo la sua scoperta, nel 1492, furono moltissimi gli scontri tra nativi e invasori; tutti vinti da questi ulltimi. Vediamone uno dei più significativi, quello avvenuto il 16 novembre del 1532 in una cittadina chiamata Cajamarca (nell’attuale Perù), tra Atahualpa, imperatore Inca, che “giocava in casa”, circondato da un esercito composto da 80000 uomini; e il conquistador spagnolo Francisco Pizarro, che si trovava nel nuovo continente per conto del sovrano spagnolo Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero.
Al contrario di Atahualpa, Pizarro era a capo di soli 168 uomini, e certo nessuno avrebbe mai scommesso su una sua vittoria. Nonostante ciò, a distanza di poche decine di minuti dal loro incontro, Pizarro fece prigioniero Atahualpa, lo tenne in ostaggio per otto mesi (durante i quali si fece consegnare dagli Incas un enorme riscatto in oro), e infine lo uccise, violando i patti. In pochi mesi tutto l’impero inca fu conquistato. La domanda è: com’e stato possibile tutto ciò? Gli Spagnoli erano sicuramente superiori tecnologicamente per quanto riguarda armi e cavalli; ma la velocità di questa conquista rimane comunque sconvolgente!
Qui di seguito, analizzerò in breve quelli che Diamond, nel suo famoso saggio Armi, acciaio, malattie, ha chiamato le “cause prossime” della vittoria degli Spagnoli (quelle che nella nostra mappa compaiono nei rettangoli in basso).

1) Superiore tecnologia bellica degli Spagnoli: armi da fuoco, lame d’acciaio, armature e cavalli, sono tutti fattori che permisero ai conquistadores di eliminare facilmente gli avversari, i quali erano a piedi e armati solo di asce in pietra o in bronzo, bastoni, fionde (strumenti che potevano al massimo ferire nemici dotati di corazze). Secondo Diamond, spade, lance e pugnali in acciaio furono più importanti, in quella battaglia, degli stessi archibugi. L’enorme carneficina (7000 indios morti al termine di quella giornata) fu compiuta soprattutto con armi da taglio. A ciò bisogna aggiungere il “sacro terrore” che prendeva gli indios, di fronte al rumore dei fucili e delle trombe degli spagnoli.
2) Epidemie: già negli anni precedenti Cajamarca, una terribile infezione di vajolo, portata dagli Spagnoli, era passata da Panama all’impero inca e aveva ucciso, tra gli altri, l’imperatore. Era nata, da ciò, una lotta per la successione tra Atahualpa e il fratellastro Huascàr, che aveva permesso agli Spagnoli di trovare una popolazione disunita e indebolita dalla malattia. In generale, le epidemie ebbero un ruolo determinante nella conquista, poiché si pensa che circa il 95% dei morti fu causato proprio dalle malattie (morbillo, vaiolo, tifo, influenza) importate dagli invasori.
3) Superiorità nautica: avendo raggiunto molto tempo prima la sedentarietà, gli Europei sono stati in grado di creare un sistema politico-sociale molto differenziato, cui è seguito un forte progresso tecnologico; la presenza di “elite non-produttive”, cioè di uomini che non dovevano pensare a procurare cibo, ma potevano concentrarsi su altri ruoli, ha fatto sì che si sviluppasse una tecnologia molto avanzata, capace di costruire navi in grado di attraversare gli oceani.
4) Scrittura: anche la scrittura svolge un ruolo nello svolgimento dei fatti. Essa infatti permise agli spagnoli di sapere in che punto sbarcare e cosa aspettarsi; e, questo, in quanto altri Europei come Colombo e Cortés avevano gia esplorato quelle terre, riportando in lettere e relazioni gli usi, le conoscenze, le tecniche e i comportamenti dei popoli americani, oltre alla esatta descrizione dei luoghi. Gli incas, invece, non sapevano quasi nulla degli invasori, e, non abituati ai contatti con altri popoli, ingenuamente si fidarono, facendo sì che gli invasori potessero far scattare una “trappola” definita banale dagli stessi spagnoli.
I fatti di Cajamarca ci sono noti attraverso le molte relazioni stese da testimoni oculari, tutti spagnoli. Essi cercarono di far credere che la conquista fosse un fatto voluto da Dio, per convertire e civilizzare razze inferiori. Con il suo libro, Diamond dimostra anche questo, e cioè che le razze in questa storia non c’entrano nulla e che se gli europei vinsero, fu perché godettero dei vantaggi collegati al tipo di spazio fisico in cui si trovavano.

m.b.


determinismo

Il determinismo è quella visione secondo la quale nelle vicende naturali e storiche nulla avviene per caso ma tutto accade secondo una ragione e una sequenza di concatenazioni necessarie. Il determinismo nega qualsiasi forma di casualità (per esso, il casuale, in realtà è il “non ancora noto“) e, per tutti i fenomeni, cerca di rintracciare una spiegazione di tipo fisico-meccanico. Ogni fatto (dunque anche i comportamenti umani) si viene, in questo modo, sempre a trovare all’interno di una catena di relazioni causa-effetto, che esclude sia il caso sia la possibilità di libere scelte. Conseguenza fondamentale è che date certe condizioni iniziali, tutto quel che accadrà in futuro è predeterminato in modo assoluto ed è, dunque, anche prevedibile.
La classica definizione di determinismo venne data dal grande matematico e astronomo francese Laplace nel suo Essai philosophique sur les probabilités (1812),

«Dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell'universo come effetto del suo stato anteriore e come causa del suo stato futuro. Un'intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta da sottoporre questi dati ad analisi abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell'universo e quelli dell'atomo più leggero: per essa non ci sarebbe nulla d'incerto, ed il futuro come il passato sarebbe presente ai suoi occhi»


c.s.



scheda biologica


1) Centri di origine indipendente dell’agricoltura: Vicino Oriente – Cina – Mesoamerica - USA orientali - Sahel - Ande e Amazzonia – Africa equatoriale occidentale - Etiopia - Nuova Guinea  2) Specie animali e vegetali domesticate in Eurasia: Animali: Cane - Pecora – Capra – Bue – Maiale – Cavallo - Cammello arabo - Cammello a due gobbe – Asino – Renna - Bufalo asiatico – Yak - Banteng domestico – Mithan – Baco da seta; Vegetali: Grano – Piselli – Olivo – Riso – Miglio – Papavero – Avena – Sesamo – Melanzana  3) Scarto temporale tra Agricolture Euroasiatica e Americana: Tra l’agricoltura sviluppatatasi nel vasto continente euroasiatico e quella nata nel continente americano esiste una forte sfasatura. Infatti si può far risalire la nascita dell’agricoltura in Eurasia addirittura a 8500 anni prima della nascita di Cristo. In America invece i primi tentativi di domesticazione ebbero luogo solo nel 3500 a.C. e i primi esempi di società sedentaria risalgono al 1500 a.C. Il ritardo di sviluppo ammonta quindi a circa 5000 anni!  4) Malattie importate dagli Europei in America: Vaiolo – Orecchioni – Lebbra – Morbillo – Influenza – Tifo – Difterite – Malaria – Pertosse – Peste – Tubercolosi – Febbre Gialla  5) Le otto piante fondamentali domesticate nella Mezzaluna Fertile: Cereali: Einkorn – Farro – Orzo; Legumi: Lenticchie – Piselli – Ceci – Lathyrus Sativus (Cicerchia); Fibre: Lino

s.s.






sabato 5 giugno 2010

Liceo Alberti Cagliari


Liceo Scientifico Alberti –
Cagliari
Anno scolastico 2009-2010
Classe 4 H

Non sporcate i
divini cristalli!

Approfondimento di storia della scienza


Autori:
Filippo Carrusci
Giovanni Tronci
Claudia Bortolussi
Valeria Bizzarro
Virginia Loddo

Grafica
Filippo Carrusci


Coordinamento e revisione
F.Toxiri
G.Monello


Questo modo di filosofare tende alla
sovversion di tutta la filosofia naturale,
ed al disordinare e mettere in conquasso
il cielo e la Terra e tutto l'universo

(Simplicio nel Dialogo sopra
i due massimi sistemi del mondo,
Giornata prima)


La più antica e potente emozione
umana è la paura, e la paura più
antica e potente è la paura
dell’ignoto

(H.P.Lovecraft)




(Idee testarde)
Neppure una volta?
Cesare Cremonini fu uno dei più illustri aristotelici del '600. Emiliano, ebbe una vivace amicizia con Galileo nonostante le divergenze su diversi argomenti. La tradizione vuole che Cremonini da convinto aristotelico non abbia voluto nemmeno una volta guardare attraverso il cannocchiale, convinto sia delle sue tesi aristoteliche, sulla inalterabilità dell’universo; sia del fatto che le “fantomatiche” macchie sulla luna viste da Galileo fossero - come dicevano altri scettici - nient’altro che illusioni ottiche e ombre generate dallo stesso strumento. In una lettera a Galilei del 29 Luglio 1611, Paolo Gualdo riferisce, però, che, dopo aver chiesto a Cremonini le sue opinioni sulle nuove osservazioni celesti, quello così rispondesse,

Quel mirare per quegli occhiali m'imbalordiscon la testa: basta, non ne voglio sapere altro.

Stando al significato preciso di queste parole, e volendo fare i pignoli, possiamo chiederci: siamo proprio del tutto sicuri che Cremonini non abbia, in realtà, guardato –almeno qualche volta – attraverso il temuto cannocchiale? Sennò come gli si sarebbe potuta “imbalordire” la testa? In effetti sarebbe veramente strano che si fosse totalmente rifiutato di fronte ad una richiesta che veniva da un amico e collega che stimava. Supposizioni: il giallo riguardante la avvenuta o meno “sbirciata” nel cannocchiale persiste tutt'ora.

Giovanni Tronci


il lato oscuro della perfezione

La precisione, la meticolosità, il “perfezionismo” sono sempre state doti apprezzate e ricercate. Si pensi al virtuosismo di un pianista o di un chirurgo, ad esempio. In effetti però, il concetto, può avere come una doppia identità; un po’come Dottor Jeckil e Mister Hyde. Infatti, così come in un'unica persona erano concentrate due identità differenti, una buona ed una cattiva, così nel perfezionismo possiamo trovare un lato buono, se lo intendiamo come dote; ed uno cattivo, se lo consideriamo come fatto psico-patologico. Sul tema sono stati condotti diversi studi da due scienziati canadesi, il Prof. C. Todorov e il Dr. Baziner. I due studiosi hanno dato il “la” per una serie di ricerche che si sono poi estese su scala mondiale. I risultati ricavati dalla osservazione di diversi soggetti, hanno fatto capire ai ricercatori, che le modalità con cui si manifesta questa malattia sono differenti. L’identità cattiva, sembra manifestarsi, secondo S.J. Blatt, in 3 diverse forme: orientamento verso gli altri, (richieste impossibili verso gli altri); orientamento verso se stessi, (che definisce standard di prestazione impossibili per se stessi); e modalità sociale, (convinzione che gli altri abbiano nei nostri confronti delle aspettative esagerate e che queste vadano assolutamente soddisfatte, per essere accettati). A loro volta queste 3 forme possono degenerare in depressioni più o meno gravi, e, nelle donne, in gravi forme di anoressia. Per curare il perfezionismo patologico si ricorre alla cosiddetta “cura di fiducia”, con un approccio di tipo cognitivo-comportamentale diretto a “smontare” il sistema di valori fissi e di rigidità assoluta del paziente. Nei casi più gravi lo psicoterapeuta può decidere di ricorrere a farmaci antidepressivi. In definitiva, quindi, una persona è perfezionista in senso patologico, non quando cerca con impegno continuo e totale di ottenere ottimi risultati, accompagnati dalla soddisfazione che da ognuno di essi deriva; ma quando vive nella più completa insoddisfazione, costantemente alla ricerca di una impossibile “perfezione del perfetto” che esorcizzi le sue paure.
Possiamo a questo punto chiederci: c’era del perfezionismo nella testardaggine con cui Cremonini rifiutava il cannocchiale? E se perfezionismo, smodato amore per l’ordine e la simmetria, sono spesso sintomi nevrotici, c’era qualcosa di “ossessivo” nel suo comportamento? Non possiamo escluderlo. Forse egli temeva che quel potenziale disordine introdotto nei cieli da Galileo, fosse l’inizio della fine di tutto un suo ordinato e felice universo mentale!

Filippo Carrusci



(idee testarde)
La peste manzoniana e i medici uccelli
Nel 1629-30, con i lanzichenecchi entrò in Italia la peste, di cui parla Manzoni nei Promessi sposi. I medici portavano avanti due differenti modelli teorici . Il primo, prevalente, era la cosiddetta dottrina aeristica (o astrologico-miasmatica) che sosteneva che la peste fosse dovuta a particolari influenze degli astri sulla terra e che considerava l’aria come l’elemento di principale diffusione. I terremoti provocati dalle influenze, lasciavano uscire dalla terra gas velenosi che inquinavano l’aria e provocavano la malattia. Questa teoria era accettata dai medici di impostazione aristotelica.
Il secondo modello era la dottrina contagionistica, secondo la quale la peste veniva trasmessa attraverso un qualche indefinito veleno che non stava nell’aria ma passava di uomo in uomo.
Le autorità sanitarie per evitare che il male dilagasse, imposero l’ isolamento dei paesi in cui si erano presentati i primi casi, mediante la chiusura delle strade e facendo bruciare mobili e vestiti delle persone infette. Nei fatti, quindi, l’idea di contagio operava anche tra i medici che rifiutavano quel tipo di spiegazione. Le persone infette venivano portate nei lazzaretti, dove ricevevano cure gratuite; mentre i ricchi potevano decidere di essere curati privatamente nelle loro case. La peste invase tutto il nord Italia. A fine maggio 1630 sembrò essere cessata, ma a giugno il morbo riprese, facendo ancora grande strage. La cosa più singolare era l’abbigliamento dei medici che, quando si recavano nelle case dei malati, oltre a fare uso di aceto come disinfettante, indossavano una specie di lunga toga incerata, e una maschera dotata di occhiali e di un lungo becco contenente un filtro di spezie che avrebbe dovuto depurare l’aria. Parevano degli strani e un po’ lugubri uccelli.

Virginia Loddo



Non mancarono già de' così pervicaci e ostinati, e tra questi de' constituiti in grado di pubblici lettori, tenuti per altro in grande stima, i quali, temendo di commettere sacrilegio contro la deità loro Aristotele, non vollero cimentarsi all'osservazioni, né pur una volta accostar l'occhio al telescopio; e vivendo in questa lor bestialissima ostinazione, vollero, più tosto che al lor maestro, usar infedeltà alla Natura medesima.
(“Vita di Galileo”, 1717, Vincenzo Viviani)


idee testarde
lenti? Meglio le civette

Nel 1583 George Bartisch accusa gli occhiali di non avere capacità effettivamente correttive e invita i portatori di questi curiosi strumenti a far uso di "un buon purgante che pulisca il corpo dagli umori superflui, che rischiara di più; e contro i mali oculari dovuti a stregoneria, portare al collo il cuore e gli occhi di civetta essiccati all'aria…



Dalle stelle ai topi

La generazione spontanea è la vecchia dottrina secondo la quale piccoli animali quali insetti, anfibi e pesci si genererebbero spontaneamente dal fango o da sostanze in decomposizione. Questa teoria ha radici antiche: i Cinesi credevano che gli afidi nascessero dal bambù, gli indiani che le mosche derivassero dallo sporco e dal sudore; per i Babilonesi il fango generava vermi, pesci e rane; ed anche il greco Aristotele condivideva questa opinione pensando ad un “principio attivo” vitalizzante, capace di organizzare la materia inerte, trasformandola in esseri viventi.
Jean Baptiste Van Helmont, medico e chimico fiammingo (1577-1644), sosteneva che i topi nascessero per generazione spontanea, e approntò, a sostegno della sua ipotesi, un esperimento (riportato nella sua opera postuma Ortus medicinae) famosissimo e incredibile.Come fare per ottenere i topi? Questa la ricetta: per 21 giorni lasciare una camicia sudicia a contatto con dei chicchi di grano. Il “principio attivo” aristotelico, secondo Van Helmont, era, in questo caso, il sudore umano della camicia sporca. Ovviamente, diremmo oggi, non aveva previsto l’esperimento di controllo; ma è già significativo che i 21 giorni sono proprio quelli che servono ad una topina gravida per dare alla luce i suoi piccoli. Saranno Redi, Spallanzani e Pasteur a “sistemare le cose” e a porre fine a tali “innocue allucinazioni”.
Ma le radici della generazione spontanea sono assai difficili da estirpare: ancora negli anni Ottanta un’alunna, riferiva seriamente d’aver sentito che un capello posto dentro una bottiglia piena d’acqua avrebbe immancabilmente prodotto un’anguilla; ma solo se lungo e nero e rigorosamente “a marzo”; ma eravamo alla fine dell’anno… e non se ne fece niente. Poi, l’anno seguente, altra scuola, altre storie.

Ecco la ricetta di Van Helmont nella sua versione autentica,

“Lascia una camicia sporca o degli stracci in un contenitore, come una pentola o un barile, aperto, contenente alcuni chicchi di grano o mangime e in 21 giorni appariranno dei topi. Vi saranno esemplari maschi e femmine adulti e in grado di accoppiarsi e riprodurre altri topi.”

Francesca Toxiri


L’aristotelico più famoso, quello immaginato.

Il ritratto di don Ferrante serve al Manzoni per darci un altro elemento della mentalità del seicento. Don Ferrante è il tipico intellettuale del suo tempo, convinto di avere trovato una verità definitiva su tutto.
Egli passa numerose ore nel suo studio, dove ha una grande raccolta di libri, poco meno di trecento volumi. Si interessa soprattutto di astrologia, e non ne conosce soltanto le nozioni generiche e il vocabolario, ma sa parlare con competenza degli influssi delle stelle sul destino degli uomini, della posizione degli astri e del loro allineamento sulla stessa longitudine celeste: le famose congiunzioni. Per quanto riguarda la filosofia, Don Ferrante è un fanatico sostenitore della dottrina di Aristotele che egli definisce “il filosofo per eccellenza”. Anche se, aggiunge con ironia il Manzoni, Aristotele lo aveva “più letto che studiato”.Come sappiamo in quel periodo a Milano infuriava la peste e l’opinione di Don Ferrante al riguardo, era che tutto ciò che accadeva era da ricondursi alla “fatale congiunzione” di Saturno con Giove. Ecco un famoso passo in cui egli viene rappresentato mentre denuncia le ingenuità del popolo e gli errori dei medici intorno alla peste:

La c'è pur troppo la vera cagione, - diceva - e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell'altra così in aria... La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s'è sentito dire che l'influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l'influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de' corpi terreni, potesse impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de' cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno?

(A. Manzoni, Promessi Sposi, cap. 37 )


Immaginandoci Don Ferrante sprofondato nella sua libreria, orgogliosamente convinto di sapere tutto, non possono non venirci in mente le parole del “Dialogo sopra i due massimi sistemi”, in cui Salviati rivolge a Simplicio il famoso ammonimento:

“(…) Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta.”(Galileo, Dialogo sopra i due massimi sistemi, 1632 )

Claudia Bortolussi


brucerete Giove?
brucerete Saturno?


notturno italiano

Difficile possedere i loro occhi. Guardiamo le stesse cose, vediamo cose diverse. Che turbamento era, quello di Dante, sotto un cielo notturno stellatissimo? Impossibile riprovarlo.

Prima, il divino si affacciava sull’umano. Incombevano cieli purissimi e eterni. Occhi e braccia di Dio. Poi, sfacciatamente, prese a circolare un congegno meccanico; rovinò l’incanto, intristì le cose: “l’universo è dappertutto lo stesso: montagne e burroni sono pure sulla luna”. Ecco il veleno. A ben vedere, senza il cannocchiale non avremmo mai avuto l’universo di Cartesio, il Dio senza più posto (nullibi), l’anima senza estensione. Fu esso a spianare la strada a quella modernità tutta enigmi, innocenza perduta, spaesamento. Esso, il legittimo “padre” del noumeno kantiano: il divino non si può vedere ma solo pensare. E vagamente, anche. L’assoluto è totalmente altro. Il medioevo della mente finì quell’inverno, in quella terrazza, in quelle notti passate all’addiaccio, a Padova, Italia.

gigi monello






Professione aristotelico

Fu uno dei più illustri filosofi aristotelici contemporanei di Galileo. Nato a Cento nel 1550, Cremonini studiò a Ferrara dove strinse legami d'amicizia con Tasso; nel 1590 fu chiamato dal Senato veneto a ricoprire la cattedra di filosofia allo studio di Padova. Qui conobbe e divenne amico di Galileo, nonostante la diversità di opinioni su molti temi. Nel 1604, seppure con imputazioni diverse, furono denunciati al tribunale dell'Inquisizione padovana; dalla vicenda uscirono entrambi indenni. Galileo fu accusato di praticare l'astrologia giudiziaria, mentre Cremonini di sostenere l'opinione della mortalità dell'anima umana e di interpretare Aristotele separando nettamente filosofia e teologia. Contro il filosofo seguirono altri due processi, uno nel 1608 e l'altro nel 1611, che non ebbero gravi conseguenze grazie alla protezione della Repubblica. Cremonini fa parte della schiera di quegli aristotelici che si rifiutarono testardamente di accostare il proprio occhio al telescopio per verificare con i sensi quanto Galileo aveva dichiarato nel Sidereus nuncius (Venezia, 1610) . (…) Galileo e il filosofo padovano rimasero sempre su posizioni diverse, ma alla partenza dello scienziato pisano per la Toscana, dove rientrava come Primario matematico e filosofo del Granduca, Cremonini, quasi profeticamente, espresse tutta la propria preoccupazione per l'amico: «Oh quanto harrebbe fatto bene anco il S.r Galilei, non entrare in queste girandole, e non lasciar la libertà patavina».

(Tratto da, http://brunelleschi.imss.fi.it/itinerari/biografia/CesareCremonini.html)



Idee testarde
giurare sopra i maestri
Amo Talete, amo Anassagora, Platone, Aristotele, Democrito, Epicuro, e tutti quanti i principi delle filosofiche sette: ma non fia però ch’io voglia servilmente legarmi a giurar per vero tutto quello che hanno detto o scritto, come lo fa giornalmente la più minuta plebe di molti protervissimi settari; i quali per lo soverchio, e, per dir così, rabbioso amore che portano al capo della loro scuola, non vogliono udire opinioni contrarie a quella, e forzati ad ascoltarle, e da evidenti ragioni alle volte convinti, non sapendo trovare altro scampo o sotterfugio, ricorrono alle cavillazioni, a’ sofismi, ed in ultimo luogo alle strida; e se si vuol far veder loro qualche esperienza, si mettono le mani avanti a gli occhi. E so di certo che un profondo maestro in iscrittura peripatetica, e molto venerabile uomo, per non esser necessitato a confessar vere le non più vedute stelle e l’altre curiose novità ritrovate in cielo dal Galileo, non volle mai all’occhio adattarsi l’occhiale (…)

(Francesco Redi, Osservazioni intorno alle vipere, 1664)



I nervi del peripatetico

(…) Mi trovai un giorno in casa un medico molto stimato in Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosità, convenivano tal volta a veder qualche taglio di notomia per mano di uno veramente non men dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno, che si andava ricercando l'origine e nascimento de i nervi, sopra di che è famosa controversia tra i medici galenisti ed i peripatetici; e mostrando il notomista come, partendosi dal cervello e passando per la nuca, il grandissimo ceppo de i nervi si andava poi distendendo per la spinale e diramandosi per tutto il corpo, e che solo un filo sottilissimo come il refe arrivava al cuore, voltosi ad un gentil uomo ch'egli conosceva per filosofo peripatetico, e per la presenza del quale egli aveva con estraordinaria diligenza scoperto e mostrato il tutto, gli domandò s'ei restava ben pago e sicuro, l'origine de i nervi venir dal cervello e non dal cuore; al quale il filosofo, doppo essere stato alquanto sopra di sé, rispose: "Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d'Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera"

(Sagredo parla a Simplicio, Galileo, Dialogo sopra i due massimi sistemi, 1632)


Idee testarde
Ipotesi ad hoc
Il filosofo aristotelico e letterato, Lodovico delle Colombe, per salvare, comunque, purezza, levigatezza e sfericità della superficie lunare, avanzò la congettura che c'erano sì montagne e vallate, sulla luna, ma che tutto era poi avvolto in un involucro sferico, simile a un cristallo, liscio e perfettamente trasparente.


“Ai sensi e all’evidenza non mi arresi,
probabilmente per amor di tesi”

“Quanti e quali siano i vantaggi di questo strumento, così per terra come per mare, sarebbe del tutto superfluo enumerare. Ma io, lasciando le cose terrene, mi rivolsi alla speculazione delle celesti”

(Galileo, Sidereus Nuncius, 1610)



uno sguardo dal campanile

Il primo cannocchiale fu costruito nel 1608, quando gli Stati Generali d'Olanda esaminarono la richiesta di brevetto per "un dispositivo per osservare a distanza", avanzata da un certo Hans Lippershey, un occhialaio del sud-Ovest del paese. Non va dunque a Galileo la gloria di averlo inventato, come ancora molti sostengono. Fu, però, sicuramente lui a compiere il grande passo, che lasciò increduli coloro che non osavano accettare nessun tipo di innovazione che contraddicesse la vecchia astronomia. Galilei ebbe infatti la genialità e il coraggio di puntare verso il cielo il cannocchiale olandese; verso realtà distanti e non verificabili empiricamente, facendolo così diventare telescopio. Nell’agosto del 1609 egli presentò al Senato di Venezia un dispostivo ottico capace di otto ingrandimenti: lo strumento venne provato dal campanile di San Marco alla presenza del Doge ed ebbe un tale successo tra i presenti (ora le navi turche si sarebbero potute avvistare con molto più anticipo), che il governo veneziano stabilì di raddoppiare lo stipendio di Galileo e di confermargli senza scadenza il ruolo di docente nella università di Padova. Nel novembre di quello stesso anno, egli perfezionò lo strumento, portandolo sino a venti ingrandimenti. Quando lo puntò verso il cielo, cominciarono quelli che lui stesso chiamerà i “funerali della scienza aristotelica”. Ma le resistenze non si fecero attendere: Come ci si poteva fidare più di Galileo che della Bibbia? Come si poteva "seppellire" la scienza astronomica di Aristotele sulla base di un discutibile "congegno meccanico"?

Valeria Bizzarro

mercoledì 10 marzo 2010

Relativismo, Assolutismo? Illuminismo?

Cosa direbbe il grande Levi-Strauss? Mi piacerebbe saperlo...Sarebbe capace di difendere anche questa specificità culturale? Ho i miei bravi dubbi.

Strage di animali in nome della dea Gadhimai
27 novembre 2009.


Ma che religione è quella che esige un tributo di sangue pari a un massacro quale mai si è visto sulla terra? Sta finendo, nel villaggio di Bariyapur, la festività induista dedicata alla dea Gadhimai. Si svolge in questo piccolo fazzoletto di terra del Nepal ogni cinque anni e milioni di fedeli, provenienti dalla vicina India ma anche da paesi più lontani, si riversano nel villaggio con il loro carico di sacrifici.
Prima di tutto gli animali, oggetto del sacrificio, entrano nel tempio per essere purificati, poi, come accade da secoli a questa parte, nei prati, nei campi, ovunque vi sia un angolo di terra sgombra, le lame scintillano recidendo carotidi, giugulari, trachee, in un trionfo di sangue che fa letteralmente rosso il Nepal. Come noto, le religioni mussulmane, induiste ed ebraica impongono che l’animale venga sgozzato senza prima perdita di coscienza, in modo che il sangue zampilli più rapido, più abbondante e abbandoni del tutto il corpo dell’animale, rendendolo così puro e mangiabile.

Quest’anno, rispetto agli anni scorsi, è previsto un ulteriore aumento delle vittime sacrificali e l’entità delle cifre è tale che le stesse associazioni animaliste sono molto preoccupate, al di là del benessere animale, per i laghi di sangue che si formeranno sul suolo ivi ristagnando per giorni e settimane con possibile sviluppo di epidemie e inquinamento delle falde freatiche. Il governo del Nepal, e a quello dell’India che confina con il paese himalaiano dove si svolge il macello a cielo aperto, se ne frega altamente di tali preoccupazioni.
Gli amministratori sono molto più preoccupati del fatto che, se impedissero o limitassero il volere dei fedeli, potrebbero essere le loro gole a provare la lama delle spade e così hanno stanziato oltre 60.000 dollari a beneficio della dea Gadhimai che indubbiamente deve avere un notevole fascino, ma altrettanto certamente richiede tributi di sangue che nessun altro angolo del pianeta conosce. Le “danze” si sono aperte con il sacrificio tradizionale di due ratti, cui è seguito il galletto, poi il maiale, la capra e infine l’agnello.

La stampa locale non è ancora certa sui numeri, ma si parla insistentemente di mezzo milione (500.000), per quanto riguarda gli animali vittime dei sacrifici, tra i quali non meno di 25.000 (qualcuno scrive 40.000) i bufali. Gruppi internazionali di attivisti, veterani francesi, la stessa Brigitte Bardot, si sono impegnato in una disperata campagna per frenare lo zoomassacro, ma i risultati sono risibili.
Qualche bufalo è stato sottratto alla mattanza per essere poi ritornato, a fine festa, al contadino legittimo proprietario che, pur credente, non lo è a tal punto da privarsi di un formidabile aiuto nel lavorare la terra. Vero che anche la Bibbia vuole sia l’uomo a governare sugli animali e a servirsene come crede, vero che credenti e non credenti non cedono alla brama di una succulenta bistecca proveniente da un vitellone macellato nel chiuso di una stanza, ma che “buona “religione è quella che pretende lo sgozzamento di tanti animali da allagare di sangue un’intera nazione?

Oscar Grazioli

sabato 5 dicembre 2009

Per Darwin

Un rivoluzionario calmo




Una semplice lezione non poteva bastare per spiegare le conseguenze scientifiche e filosofiche della pubblicazione, nel 1859, dell’ “Origine delle Specie”. Non quest’anno. Tutto è iniziato in una grigia giornata di Novembre: la notizia del Bicentenario della nascita di Darwin aleggiava nell’aria e due docenti di scienze del Liceo “Alberti” (Francesca Toxiri e Barbara Lanero) si chiedevano in che modo celebrare degnamente l’evento. Le due prof decidono di coinvolgere un altro insegnante, stavolta di filosofia (Gigi Monello), che, avendo un debole per l’argomento, non si fa pregare e propone, al posto della solita conferenza, la creazione di un giornale scolastico interamente dedicato al tema. È così che nasce, “Darwin, the quiet challenger”. Come si sa, Darwin con quel famoso libro portò una ventata di irriverenti novità, che, come tutte le grandi “news” scientifiche, trovano sempre chi storce la bocca, e, nonostante solide prove, si rifiuta di accettare il nuovo, contrapponendo teorie che possono far presa sulle menti più influenzabili. È il caso del biochimico Michael J. Behe e dei sostenitori dell’ “Intelligent Design”, i quali, sotto un’ accattivante formula, propongono un creazionismo rivisitato che ha la pretesa di presentarsi come “scienza” alternativa. Il giornale ospita oltre agli articoli scritti da nove ragazzi dei corsi H, A e G, i contributi esterni di una ex studentessa del Liceo (Veronica Bandu), e del Dott. Roberto Pisano, algologo e anestesista dell’ospedale Brotzu. Il fine di questo nostro lavoro non è solo divulgare una teoria scientifica, cogliendone le implicazioni fisico–geologiche e filosofico–letterarie; o quello di mostrare gli aspetti più umani di un grande scienziato; abbiamo anche, e soprattutto, voluto mettere in guardia dalle suggestioni dei recidivi difensori di una interpretazione non–scientifica della natura. Questa preoccupazione ha basi fondate, viste le recenti, violente campagne antievoluzioniste sviluppatesi negli USA. Se ad alcuni procura ancora tanta angoscia accettare di “discendere dalle scimmie”, vuol proprio dire che Freud aveva ragione quando parlava di “ko” per l’orgoglio umano.

Beatrice Mongili
Giulia Ambu